Descrizione
La storia della Valtravaglia
Cartina della pieve della Valtravaglia (tratta da P. Frigerio-S. Mazza-P. Pisoni, "Domo antica sede plebana di Travaglia e il suo battistero", «Rivista della Società Storica Varesina», fasc. XII, marzo 1975, pp. 85-121)
Non è semplice ricostruire la storia del territorio della Valtravaglia; la documentazione storica è infatti estremamente carente, soprattutto per i secoli più lontani, a causa di numerosi incidenti, verificatisi in epoca moderna, che hanno portato alla scomparsa di molti documenti esistenti.
Il territorio venne molto probabilmente popolato da popolazioni preistoriche; la storia vera e propria inizia nell'VIII sec. a.C., allorché nella Valtravaglia si insediano i Celti; questo popolo, che viveva di pastorizia e di commercio grazie alla presenza del lago, venne sconfitto dai Romani. L'occupazione romana, che non fu in ogni caso agevole, cominciò alla metà del III a.C. Negli anni del tardo Impero iniziò la diffusione del culto cristiano nella Valtravaglia.
L'Alto Medioevo fu caratterizzato dalla presenza del sistema feudale; nella Valtravaglia si ebbe la nascita della Pieve della Valtravaglia, che come feudo appartenne dapprima al monastero di S. Pietro in Ciel d'Oro di Pavia (dall'VIII sec. all'inizio dell'XI), quindi agli arcivescovi di Milano (dal'XI sec. alla fine del XIV), ai Visconti (dal 1397 al 1416), ai conti Rusca di Como (dal 1416 al 1583, anche se non continuativamente), ai conti Marliani (dal 1583 al 1783) e, infine, ai conti Crivelli, gli ultimi feudatari (dal 1783 al 1797).
Nel corso di questo succedersi di feudatari, vi fu comunque un periodo convulso, dal 1513 al 1573, nel corso del quale il feudo passò varie volte di mano: dalla Real Camera passò al Capitano d'Urbina, ai conti Rusca (dei quali era già stato possesso), a Giovan Battista Pusterla, alla Ducal Camera, al conte Camillo Borromeo, al marchese di Merignano e di nuovo alla Ducal Camera. Inoltre, nel 1513 la Valtravaglia venne occupata dagli Svizzeri, che la resero all'imperatore Carlo V in cambio di Mendrisio con la pieve di Balerna.
La storia della Valtravaglia, dal XVI secolo, finirà con l'identificarsi con quella della Lombardia. Nel 1559, per la pace di Cateau-Cambresis, la Valtravaglia (come del resto gran parte della Lombardia e le province di Novara e del Verbano-Cusio-Ossola), passò sotto la dominazione spagnola, che durò fino al 1714, quando agli Spagnoli successero gli Austriaci.
Il ciclone rivoluzionario prima, napoleonico poi, squassò i vecchi equilibri politici: con i territori tolti agli Austriaci (più l'Emilia Romagna) venne creata nel 1797 la Repubblica Cisalpina, nel 1802 nacque la Repubblica Italiana, che lascerà posto nel 1805 al Regno d'Italia. In quest'ultimo stato, la Valtravaglia venne inserita nel dipartimento del Lario, con capoluogo Como. Dopo la sconfitta di Napoleone, il Congresso di Vienna (1814-1815) assegnò la Lombardia all'Austria, unitamente al Veneto; le due regioni diedero origine al Regno Lombardo-Veneto, sostanzialmente un'appendice dell'impero asburgico.
Nel 1859, dopo la Seconda Guerra d'Indipendenza, entrò a far parte del Regno d'Italia, dapprima facendo parte della provincia di Como, quindi, dal 1927, di quella di Varese.
Nel corso della Prima Guerra Mondiale, le alture in prossimità del confine svizzero vennero fortificate, per la paura di un attacco tedesco attraverso la Svizzera (vedi La linea Cadorna); negli anni drammatici della Seconda Guerra Mondiale la zona venne occupata dopo l'8 settembre 1943 dai Nazifascisti e divenne teatro dell'azione di gruppi di partigiani, la cui attività fu stroncata con la battaglia del monte San Martino (1944).
Cartina della pieve della Valtravaglia (tratta da P. Frigerio-S. Mazza-P. Pisoni, "Domo antica sede plebana di Travaglia e il suo battistero", «Rivista della Società Storica Varesina», fasc. XII, marzo 1975, pp. 85-121)
Non è semplice ricostruire la storia del territorio della Valtravaglia; la documentazione storica è infatti estremamente carente, soprattutto per i secoli più lontani, a causa di numerosi incidenti, verificatisi in epoca moderna, che hanno portato alla scomparsa di molti documenti esistenti.
Il territorio venne molto probabilmente popolato da popolazioni preistoriche; la storia vera e propria inizia nell'VIII sec. a.C., allorché nella Valtravaglia si insediano i Celti; questo popolo, che viveva di pastorizia e di commercio grazie alla presenza del lago, venne sconfitto dai Romani. L'occupazione romana, che non fu in ogni caso agevole, cominciò alla metà del III a.C. Negli anni del tardo Impero iniziò la diffusione del culto cristiano nella Valtravaglia.
L'Alto Medioevo fu caratterizzato dalla presenza del sistema feudale; nella Valtravaglia si ebbe la nascita della Pieve della Valtravaglia, che come feudo appartenne dapprima al monastero di S. Pietro in Ciel d'Oro di Pavia (dall'VIII sec. all'inizio dell'XI), quindi agli arcivescovi di Milano (dal'XI sec. alla fine del XIV), ai Visconti (dal 1397 al 1416), ai conti Rusca di Como (dal 1416 al 1583, anche se non continuativamente), ai conti Marliani (dal 1583 al 1783) e, infine, ai conti Crivelli, gli ultimi feudatari (dal 1783 al 1797).
Nel corso di questo succedersi di feudatari, vi fu comunque un periodo convulso, dal 1513 al 1573, nel corso del quale il feudo passò varie volte di mano: dalla Real Camera passò al Capitano d'Urbina, ai conti Rusca (dei quali era già stato possesso), a Giovan Battista Pusterla, alla Ducal Camera, al conte Camillo Borromeo, al marchese di Merignano e di nuovo alla Ducal Camera. Inoltre, nel 1513 la Valtravaglia venne occupata dagli Svizzeri, che la resero all'imperatore Carlo V in cambio di Mendrisio con la pieve di Balerna.
La storia della Valtravaglia, dal XVI secolo, finirà con l'identificarsi con quella della Lombardia. Nel 1559, per la pace di Cateau-Cambresis, la Valtravaglia (come del resto gran parte della Lombardia e le province di Novara e del Verbano-Cusio-Ossola), passò sotto la dominazione spagnola, che durò fino al 1714, quando agli Spagnoli successero gli Austriaci.
Il ciclone rivoluzionario prima, napoleonico poi, squassò i vecchi equilibri politici: con i territori tolti agli Austriaci (più l'Emilia Romagna) venne creata nel 1797 la Repubblica Cisalpina, nel 1802 nacque la Repubblica Italiana, che lascerà posto nel 1805 al Regno d'Italia. In quest'ultimo stato, la Valtravaglia venne inserita nel dipartimento del Lario, con capoluogo Como. Dopo la sconfitta di Napoleone, il Congresso di Vienna (1814-1815) assegnò la Lombardia all'Austria, unitamente al Veneto; le due regioni diedero origine al Regno Lombardo-Veneto, sostanzialmente un'appendice dell'impero asburgico.
Nel 1859, dopo la Seconda Guerra d'Indipendenza, entrò a far parte del Regno d'Italia, dapprima facendo parte della provincia di Como, quindi, dal 1927, di quella di Varese.
Nel corso della Prima Guerra Mondiale, le alture in prossimità del confine svizzero vennero fortificate, per la paura di un attacco tedesco attraverso la Svizzera (vedi La linea Cadorna); negli anni drammatici della Seconda Guerra Mondiale la zona venne occupata dopo l'8 settembre 1943 dai Nazifascisti e divenne teatro dell'azione di gruppi di partigiani, la cui attività fu stroncata con la battaglia del monte San Martino (1944).
La storia di Bosco e Montegrino
A sinistra lo stemma dell'ex comune di Bosco Valtravaglia, soppresso nel 1927, a destra quello di Montegrino Valtravaglia.
A sinistra lo stemma dell'ex comune di Bosco Valtravaglia, soppresso nel 1927, a destra quello di Montegrino Valtravaglia.
La ricostruzione della storia di Bosco e Montegrino Valtravaglia non è agevole: ci si scontra con la povertà della documentazione, estremamente carente soprattutto per le epoche più antiche.
L'origine del nome di Montegrino Valtravaglia non è chiara. Secondo alcuni, "Montegrino" (come le varianti attestate: Monte Garin, Monte Agareno, Monte Agarino) deriverebbe da "acer", acero, nel dialetto antico "agher", al plurale "agra". Probabilmente, in accordo con tale tesi, vasti boschi d'aceri un tempo ricoprivano il monte che sovrasta il paese. Del resto, l'acero cresce spontaneamente nella zona e il vicino centro di Agra deve il proprio nome alla presenza nel territorio di questa essenza. Secondo un'altra ipotesi, il nome invece sarebbe l'esito del composto di "monte" e di un nome di persona, probabilmente germanico, come "Agrimo" o qualcosa di simile. Non ci sono dubbi, invece, sull'etimologia di Bosco.
Nel XIII sec. a Montegrino esistevano sicuramente tre chiese: S. Martino e S. Gallo, espressamente citate nel Liber Notitiae di Goffredo da Bussero e S. Ambrogio, che per alcuni indizi è sicuramente di origine medioevale. A Bosco, nel XIV sec. esisteva la chiesa di S. Maria in Culmine.
Sin da tempi lontani, le risorse ambientali (legname da costruzione e da fuoco, produzione di carbone e pascoli) consentirono la crescita di una comunità che fu a lungo più numerosa di molte altre della zona: nel 1578 Montegrino (unita a Bosco) contava 943 abitanti (più del 10 % della popolazione totale della Travaglia; Luino, allora, aveva solo 669 abitanti); come parrocchia era superata solamente da Brezzo di Bedero.
Come altri paesi della zona, Bosco fu caratterizzata dalla presenza dei Romani, come testimoniato dal ritrovamento di monete ed oggetti di varia natura venuti alla luce durante degli scavi; in particolare, nelle vicinanze del centro abitato, agli inizi del secolo scorso, furono rinvenute delle sepolture d'epoca romana, unitamente ad una moneta bizantina dell'imperatore Anastasio I (V sec. d.C.).
Nel Settecento, secolo per il quale la documentazione (soprattutto di natura privata) è più abbondante, il paesaggio della nostra zona cominciò a mutare: dovunque cominciarono ad apparire i gelsi, la cui coltivazione si legava all'allevamento dei bachi da seta. Lo sviluppo di quest'attività provocò la comparsa di numerose filande (un sacerdote boschese, don Antonio Parietti, nella prima metà del XIX secolo, scrisse addirittura un trattato sull'allevamento dei bachi da seta).
L'origine del nome di Montegrino Valtravaglia non è chiara. Secondo alcuni, "Montegrino" (come le varianti attestate: Monte Garin, Monte Agareno, Monte Agarino) deriverebbe da "acer", acero, nel dialetto antico "agher", al plurale "agra". Probabilmente, in accordo con tale tesi, vasti boschi d'aceri un tempo ricoprivano il monte che sovrasta il paese. Del resto, l'acero cresce spontaneamente nella zona e il vicino centro di Agra deve il proprio nome alla presenza nel territorio di questa essenza. Secondo un'altra ipotesi, il nome invece sarebbe l'esito del composto di "monte" e di un nome di persona, probabilmente germanico, come "Agrimo" o qualcosa di simile. Non ci sono dubbi, invece, sull'etimologia di Bosco.
Nel XIII sec. a Montegrino esistevano sicuramente tre chiese: S. Martino e S. Gallo, espressamente citate nel Liber Notitiae di Goffredo da Bussero e S. Ambrogio, che per alcuni indizi è sicuramente di origine medioevale. A Bosco, nel XIV sec. esisteva la chiesa di S. Maria in Culmine.
Sin da tempi lontani, le risorse ambientali (legname da costruzione e da fuoco, produzione di carbone e pascoli) consentirono la crescita di una comunità che fu a lungo più numerosa di molte altre della zona: nel 1578 Montegrino (unita a Bosco) contava 943 abitanti (più del 10 % della popolazione totale della Travaglia; Luino, allora, aveva solo 669 abitanti); come parrocchia era superata solamente da Brezzo di Bedero.
Come altri paesi della zona, Bosco fu caratterizzata dalla presenza dei Romani, come testimoniato dal ritrovamento di monete ed oggetti di varia natura venuti alla luce durante degli scavi; in particolare, nelle vicinanze del centro abitato, agli inizi del secolo scorso, furono rinvenute delle sepolture d'epoca romana, unitamente ad una moneta bizantina dell'imperatore Anastasio I (V sec. d.C.).
Nel Settecento, secolo per il quale la documentazione (soprattutto di natura privata) è più abbondante, il paesaggio della nostra zona cominciò a mutare: dovunque cominciarono ad apparire i gelsi, la cui coltivazione si legava all'allevamento dei bachi da seta. Lo sviluppo di quest'attività provocò la comparsa di numerose filande (un sacerdote boschese, don Antonio Parietti, nella prima metà del XIX secolo, scrisse addirittura un trattato sull'allevamento dei bachi da seta).
La Linea Cadorna
Nel corso della prima fase della Prima Guerra Mondiale, le truppe tedesche attaccarono la Francia da nord, dopo avere invaso il Belgio (stato rimasto neutrale), aggirando quindi le postazioni di difesa predisposte dal governo di Parigi.
Nel corso della prima fase della Prima Guerra Mondiale, le truppe tedesche attaccarono la Francia da nord, dopo avere invaso il Belgio (stato rimasto neutrale), aggirando quindi le postazioni di difesa predisposte dal governo di Parigi.
Nel 1917 lo Stato Maggiore dell'esercito italiano, dopo aver valutato la situazione militare e temendo che la Germania potesse attaccare il nostro paese invadendo la Svizzera (aprendo di conseguenza un altro difficile fronte per le nostre truppe, già duramente impegnate contro l'Austria-Ungheria), decise di fortificare le alture in prossimità del confine svizzero.
Il Paese nella letteratura
Un grande scrittore della letteratura italiana, Piero Chiara, nel suo romanzo "Il pretore di Cuvio", uscito nell'anno 1973, ha ambientato una parte delle vicende narrate a Montegrino, parlando del Teatro Sociale e delle chiese di S. Rocco e di S. Martino.
Di seguito riportiamo alcune delle parti del libro che parlano del nostro paese, tratte dall'edizione Oscar Mondadori (pp. 83-93).
"Per la prima venne scelto il teatro di Montegrino, un casone con la facciata sulla strada e la parte di fondo incassata nella montagna, che era stato nel '700 il teatrino della famiglia dei conti di Biandrà di Reaglie, ma che dovette subire un gran numero di incendi e di crolli prima di venir riedificato nella forma a scatola che ancora presenta a chi si accorge, leggendo una scritta cancellata dalle intemperie, che si tratta di un teatro e non di una stalla o di una caciara".
"All'inizio del terzo atto e quando già si delineava il successo, preannunciato dagli applausi a scena aperta tributati al conte Ramiro, un gran vento che si era sollevato dal lago spinse l'epicentro del temporale sopra il paese di Montegrino. Nuove nubi gravide d'acqua si attaccarono ai versanti boscosi, li risalirono rotolando su se stesse e si adagiarono pesantemente sopra i tetti delle case [...] Quasi fossero state punte e lacerate dalla cuspide del campanile di San Rocco e da quella persa tra i boschi del campanile di S. Martino, le nubi cominciarono a versare acqua e grandine a valanga sopra il paese e sui versanti dei due colli in mezzo ai quali si adagiano le case".
Vennero così costruiti bunker, casematte, trincee, strade militari, depositi di munizioni, batterie per l'artiglieria. Fortunatamente nessuna di queste fortificazioni è stata mai utilizzata; esse sono state abbandonate e sono rimaste vittima dell'incuria e dello scorrere incessante del tempo. Ciò non toglie che esse conservino un indiscutibile fascino e che consentano in più di un'occasione di ammirare lo straordinario panorama offerto dalla Pianura Padana, dalle Alpi, dalle Prealpi e dai laghi lombardi.
Per visitare le fortificazioni basta uscire dal paese e prendere la provinciale che sale verso i Sette Termini, chiamata Via Cadorna; superato il laghetto, una salutare camminata tra i boschi svelerà improvvisamente la presenza di un camminamento o di una batteria (ben conservate quelle situate presso il cascinale Pobia).
Una parte delle fortificazioni è stata recentemente ripulita per iniziativa della Comunità Montana "Valli del Luinese" e la Pro Loco di Montegrino Valtravaglia è intenzionata a valorizzare questa interessante testimonianza di un passato neanche troppo lontano.
Un grande scrittore della letteratura italiana, Piero Chiara, nel suo romanzo "Il pretore di Cuvio", uscito nell'anno 1973, ha ambientato una parte delle vicende narrate a Montegrino, parlando del Teatro Sociale e delle chiese di S. Rocco e di S. Martino.
Di seguito riportiamo alcune delle parti del libro che parlano del nostro paese, tratte dall'edizione Oscar Mondadori (pp. 83-93).
"Per la prima venne scelto il teatro di Montegrino, un casone con la facciata sulla strada e la parte di fondo incassata nella montagna, che era stato nel '700 il teatrino della famiglia dei conti di Biandrà di Reaglie, ma che dovette subire un gran numero di incendi e di crolli prima di venir riedificato nella forma a scatola che ancora presenta a chi si accorge, leggendo una scritta cancellata dalle intemperie, che si tratta di un teatro e non di una stalla o di una caciara".
"All'inizio del terzo atto e quando già si delineava il successo, preannunciato dagli applausi a scena aperta tributati al conte Ramiro, un gran vento che si era sollevato dal lago spinse l'epicentro del temporale sopra il paese di Montegrino. Nuove nubi gravide d'acqua si attaccarono ai versanti boscosi, li risalirono rotolando su se stesse e si adagiarono pesantemente sopra i tetti delle case [...] Quasi fossero state punte e lacerate dalla cuspide del campanile di San Rocco e da quella persa tra i boschi del campanile di S. Martino, le nubi cominciarono a versare acqua e grandine a valanga sopra il paese e sui versanti dei due colli in mezzo ai quali si adagiano le case".
Vennero così costruiti bunker, casematte, trincee, strade militari, depositi di munizioni, batterie per l'artiglieria. Fortunatamente nessuna di queste fortificazioni è stata mai utilizzata; esse sono state abbandonate e sono rimaste vittima dell'incuria e dello scorrere incessante del tempo. Ciò non toglie che esse conservino un indiscutibile fascino e che consentano in più di un'occasione di ammirare lo straordinario panorama offerto dalla Pianura Padana, dalle Alpi, dalle Prealpi e dai laghi lombardi.
Per visitare le fortificazioni basta uscire dal paese e prendere la provinciale che sale verso i Sette Termini, chiamata Via Cadorna; superato il laghetto, una salutare camminata tra i boschi svelerà improvvisamente la presenza di un camminamento o di una batteria (ben conservate quelle situate presso il cascinale Pobia).
Una parte delle fortificazioni è stata recentemente ripulita per iniziativa della Comunità Montana "Valli del Luinese" e la Pro Loco di Montegrino Valtravaglia è intenzionata a valorizzare questa interessante testimonianza di un passato neanche troppo lontano.